LA FINANZIARIA IN PILLOLE

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21/7/2008 ROMA
Con 323 sì e 253 no il governo ha incassato la fiducia dell’Aula della Camera sul decreto legge che compone la manovra economica triennale. Dopo il via libera di Montecitorio previsto per giovedì, il provvedimento passerà all’esame del Senato per la seconda lettura.

Il decreto legge su cui la Camera ha votato la fiducia contiene la manovra triennale del governo. Rispetto al testo uscito dal Consiglio dei Ministri, è stato molto cambiato nel passaggio in commissione e accoglie anche buona parte delle misure inizialmente previste nel disegno di legge collegato.
Ecco in sintesi le novità introdotte dal decreto.

CARTA IDENTITÀ. Avrà durata decennale e, dal primo gennaio 2010, dovrà riportare sia la fotografia che le impronte digitali.

VIA LA TASSA SUGLI ASSEGNI. Elevata da 5.000 a 12.500 euro la soglia massima per l’utilizzo del contante e dei titoli al portatore reintroducendo gli importi vigenti fino alla data del 29 aprile 2008. Viene inoltre eliminata l’imposta di bollo in misura pari a 1,50 euro per ciascun assegno non contenente la clausola «non trasferibile».

ROBIN TAX. Rispetto alla prima stesura via le royalties a carico delle compagnie che estraggono idrocarburi e l’attribuzione allo Stato di una quota in barili pari all’1% della produzione annua, resta l’addizionale Ires del 5,5% per le società del settore petrolifero e dell’energia elettrica. Saranno le maggiori tasse sulle banche ad alimentare il fondo per i meno abbienti.

SOCIAL CARD. Collegata alla Robin Tax, sarà concessa solo ai residenti di cittadinanza italiana. Per alimentare il fondo si ricorrerà anche ai “conti dormienti” delle banche.

ABOLITO CUMULO REDDITI-PENSIONE. Totale cumulabilità, a decorrere dal 1° gennaio 2009, tra pensioni dirette di anzianità e redditi da lavoro autonomo e dipendente. Si prevede, inoltre, a decorrere dalla medesima data, l’integrale cumulabilità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente per le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini e ai 60 anni per le donne.

CLASS ACTION. Prorogata al primo gennaio 2009 l’entrata in vigore della disciplina sulla «class action» , introdotta nell’ordinamento dalla legge finanziaria 2008.

ASSICURAZIONI VITA. Il prelievo applicabile alle riserve matematiche dei rami vita salirà dallo 0,3 allo 0,35% (più 0,050). Solo per il 2008 l’aliquota salirà allo 0,39%. A titolo di acconto, è previsto il versamento a novembre di una imposta pari allo 0,050 delle riserve matematiche iscritte nel bilancio del periodo d’imposta 2007.

TAGLI AI MINISTERI. Salgono con il maxiemendamento: le tabelle riportano riduzioni di spesa per 8,435 miliardi nel 2009 (il taglio cresce di 300 milioni rispetto alla versione originaria del decreto), 8,929 nel 2010 (400 milioni di taglio in più, erano 8,529) e 15,611 miliardi nel 2011 contro i 15,211 della prima stesura.

TAGLIA-CARTA. Riduzioni per la produzione e la circolazione di documentazione cartacea da parte e all’interno delle amministrazioni pubbliche, sostituendola con il documento informatico.

CARBURANTI 1. Via libera alla liberalizzazione della rete di distribuzione, meno vincoli per installare una stazione di servizio.

CARBURANTI 2. Diventa automatica anzichè facoltativa la possibilità di sterilizzare le accise sui carburanti quando il prezzo del petrolio superi del 2% quello indicato dal Dpef. TICKET: aboliti dal 2009 i ticket sull’assistenza specialistica ma metà della spesa (834 milioni) graverà sulle regioni. Lo Stato incrementa di 50 milioni del finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Altri 400 milioni dovrebbero arrivare con il Piano Sanità, la restante copertura verrà da una serie di misure di razionalizzazione ed efficientamento della spesa ma l’emendamento del governo consente alle regioni di mantenere «in misure integrale o ridotta» il ticket sulla diagnostica o di applicare «altre forme di partecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria», per i soggetti non esenti.

STRETTA SU ESENTI. Più verifiche sulle esenzioni sanitarie e maggiori controlli sulle prestazioni liberamente rese da erogatori privati. Le Asl non «rimborseranno più a piè di lista».

ACCERTAMENTI FISCALI. In arrivo 110.000 accertamenti fiscali in più rispetto a quelli del biennio 2007-2008 e il governo prevede «maggiori entrate per cassa per il solo 2011 pari a 610 milioni di euro».Del pacchetto antievasione fa parte anche il contrasto alle residenze fittizie all’estero. Il maggior gettito atteso è di 5 milioni nel 2009, 100 nel 2010 e 200 nel 2011.

CINQUE PER MILLE. La dotazione aumenta di 20 milioni nel 2008 e vengono definiti i criteri per individuare i beneficiari 2009: rientrano società sportive dilettantistiche e fondazioni.

ENERGIA. L'Autorità per l’energia svolgerà l’attività consultiva di segnalazione al governo sulla realizzazione di impianti di produzione di energia nucleare. La promozione della ricerca sul nucleare pulito, di quarta generazione o da fusione, rientrerà tra gli obiettivi della Strategia energetica nazionalè che il governo metterà a punto entro sei mesi. Prima inserita con un emendamento della Lega e poi soppressa la riforma dell’Autorità con riduzione da 5 a 4 membri e la decadenza dei vertici dell’Autorità per l’energia; dovrebbe essere ripresa nel Ddl in materia economica.

CONTATORI. La competenza sugli appartati di misura resta alle Camere di commercio.

GAS, ESPLORAZIONI ALTO ADRIATICO. Sarà possibile avviare ricerca e coltivazione di idrocarburi nel Golfo di Venezia, sulla verifica dell’assenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste è prevista azione d’intesa fra Consiglio dei Ministri e Regione Veneto.

RISPARMIO ENERGETICO. Le amministrazioni statali devono approvvigionarsi di combustibile da riscaldamento e dei relativi servizi, nonchè di energia elettrica, mediante le convenzioni Consip o comunque a prezzi inferiori o uguali a quelli praticati da Consip.

PIANO CASA. Sarà esteso agli immigrati a basso reddito a patto che risiedano da 10 anni in Italia e da 5 nella regione. Aiuti per le giovani coppie, famiglie a basso reddito e genitori single precari con un fondo da 24 milioni. Per l’acquisto di immobili da parte degli inquilini si mettono paletti al piano di alienazione degli immobili Iacp (o ex-Iacp): l’opzione scatta per gli inquilini che non hanno un’altra casa in proprietà e che non risultino morosi.

PIÙ POTERI A MISTER PREZZI. Ridefinite le funzioni del Garante per la sorveglianza dei prezzi prevedendo specificib poteri conoscitivi e un maggiore coinvolgimento delle associazioni di categoria e delle amministrazioni pubbliche.

FINMECCANICA. In caso di aumento di capitale è autorizzata la sottoscrizione per un importo massimo di 250 milioni di euro. La quota dello Stato, in caso di aumenti di capitale, non potrà scendere sotto la quota di controllo del 30%.

SERVIZI PUBBLICI LOCALI. La riforma apre i servizi pubblici locali all’affidamento ai privati con gara entro il 31 dicembre 2010. Sono previste deroghe, ma il socio privato dovrà essere scelto con procedure ad evidenza pubblica. Le reti, che restano di proprietà pubblica, potranno essere affidate a privati. Sarà possibile l’affidamento simultaneo con gara di una pluralità di servizi locali. Infine, viene fissata la data limite del 31 dicembre 2010 per la cessazione delle concessioni relative al servizio idrico integrato che non siano state rilasciate con gara.

TRASPORTO PUBBLICO LOCALE. Ricostituita la dotazione finanziaria del Fondo per la promozione e il sostegno dello sviluppo del trasporto pubblico locale, istituito dalla legge finanziaria per il 2008 e destinato all’acquisto di veicoli adibiti al trasporto pubblico e allo sviluppo dei sistemi di trasporto pubblico nelle aree urbane.

PATTO STABILITÀ INTERNO. Per i comuni virtuosi il taglio dei compensi di sindaci e consiglieri non si fa. Per i comuni non virtuosi, che sono circa il 10% del totale, il taglio sale dal 20 al 30%. Inoltre, diventano più rigorosi i finanziamenti per le comunità montane: in totale queste riceveranno 30 milioni in meno all’anno, dal 2009 al 2011. Con la stretta all’uso dei derivati da parte degli Enti locali arriva lo stop ai prestiti che non prevedano il rimborso contestuale di interessi e capitale.

FAS. Almeno l’85% delle risorse del Fondo aree sottoutilizzate e del Piano operativo nazionale dovranno andare al Mezzogiorno.

EXPO MILANO 2015. Stanziati 1.486 milioni di euro nel periodo 2009-2015 per la realizzazione delle opere e delle attività connesse allo svolgimento del grande evento EXPO Milano 2015.

REDDITI ON-LINE. Mini-sanatoria per la pubblicazione su Internet. In deroga al divieto, per «gli elenchi, anche già pubblicati, concernenti i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2004, e comunque fino alla data di entrata in vigore del decreto» la consultazione «può essere effettuata anche mediante l’utilizzo delle reti di comunicazione elettronica». Scongiurati i rischi di risarcimenti per le pubblicazioni avvenute in primavera.

CAUSE DI LAVORO. Fissato l’obbligo per il giudice, nell’ambito del processo del lavoro, di dare lettura delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, fissando, per i casi più complessi, un termine per il deposito della sentenza, al fine di garantire una maggiore trasparenza e la certezza dei tempi.

SICUREZZA. Il governo stanzia 300 milioni, derivanti da tagli di spesa, 100 dei quali serviranno al potenziamento della sicurezza urbana.

AUTOTRASPORTO. Arrivano 116 milioni per ridurre i costi di esercizio delle imprese del settore.

TAX CREDIT CINEMA. Ripristinato il credito di imposta per gli investimenti nel settore che era stato abolito dal decreto che cancella l’Ici.

INPS-ENTRATE. Scambio telematico mensile sulle posizioni dei titolari di partita Iva e dei dati annuali di soggetti che percepiscono utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione.

COMITATO PARALIMPICO. Aumenta di 3 milioni per ognuno degli anni 2008, 2009 e 2010 il contributo statale.

FS E ANAS. Trecento milioni in arrivo per le Fs, mentre Anas avrà la possibilità di accedere ad anticipazioni di cassa, da reintegrare entro fine anno, ma non per finanziare la spesa corrente.

AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!
di sicurezza sul lavoro neanche una parola--

Le magie dell' INTOCCABILE

Spiegazione chiara del piano antidemocratico del mago silvio. A mio parere[e non solo!], non ci sta, ne nel metodo ne nel merito!! Attenzione in NESSUN ALTRO PAESE democratico esiste l'immunità per le prime quattro cariche dello Stato. PERICOLO!! (ndcrippy)

DA Repubblica — 08 luglio 2008 pagina 1 sezione: PRIMA PAGINA

Il mago di Arcore pretende l' impunità e l' otterrà. Inutile girarci intorno, questo è lo stato dell' arte. È una confessione la «via d' uscita» escogitata da Gianni Letta. Il Parlamento discuterà subito il "lodo Alfano" che offre l' immunità alle prime quattro cariche dello Stato. Votato il "lodo", l' emendamento "sospendi-processi" diventerà superfluo. Berlusconi sarà intoccabile per cinque anni, qualsiasi reato abbia commesso in passato, qualsiasi reato gli capiterà di commettere da qui fino alla fine del suo mandato. La sospensione dei processi avrebbe congelato soltanto per un anno il dibattimento di Milano ormai agli sgoccioli (Berlusconi è imputato di corruzione in atti giudiziari). Il "lodo" va oltre. Lo lascia nel freezer per l' intera legislatura come tutte le altre inchieste e processi che lo ossessionano (corruzione di un incaricato di pubblico servizio, a Roma; diritti televisivi Mediaset e appropriazione indebita, a Milano). Salvo poi una nuova proroga di sette anni, se dovesse farcela a salire al Quirinale (Dio ci scampi). Le magie dell' uomo di Arcore non mutano, da una stagione a un' altra. Si ripropongono uguali, si replicano identiche nei passi, precise nelle mosse violente che lacerano l' equilibrio istituzionale e violano il principio dell' eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il suo problema non è nuovo: deve fulminare il processo che lo vede imputato e guadagnare tempo. Nel 2001 (II governo Berlusconi) il mago lavora a trucchi da fiera con una strategia definita con sapienza. Gli avvocati vanno in aula e scatenano l' inferno. Cavilli. Ricusazioni (il giudice è prevenuto; ha già manifestato il suo parere; ha un' inimicizia grave). Rimessioni (Milano è pericolosa per l' imputato e per chi lo difende). Accompagna l' ostruzionismo avvocatesco con una tempesta mediatica: pubblici ministeri "politicizzati" o mezzi matti vogliono farlo fuori e azzerare le scelte del popolo sovrano. L' assalto rabbioso deve preparare il clima per le leggi ad personam che un Parlamento obbediente gli approva sul tamburo: vengono cancellati reati (falso in bilancio); abolite fonti di prova (le rogatorie internazionali); ristretti i tempi del processo (prescrizione); mutate le condizioni del legittimo sospetto per un tribunale. Infine, lo rende immune una legge che la Corte Costituzionale, poi, gli boccia. Sette anni dopo, quando ritorna a Palazzo Chigi, l' impegno di Berlusconi si replica. Ha promesso agli italiani più sicurezza. Confeziona un decreto legge che inaugura un "diritto della diseguaglianza". Indifferente alle contraddizioni, chiede con la mano destra di aumentare le pene per reati di particolare allarme sociale, con la mano sinistra infila nel provvedimento il congelamento dei processi per quegli stessi reati. È il cavallo di Troia utile a fermare il processo più importante, il suo, e se la sicurezza di tutti deve pagare qualche prezzo - con lo stop di 100 mila processi - che sia pagato. Il Capo dello Stato gli nega l' urgenza e la necessità di quella clausola. Non se ne cura. Due famigli in Parlamento presentano un emendamento che ferma i processi. Sostiene l' iniziativa innescando, come sempre, tensioni micidiali. La sua condizione processuale e il desiderio di impunità conquistano il primo posto nell' agenda del governo. Per più d' un mese, non si parla d' altro. Impudente, egli non parla d' altro ad ogni occasione con gli argomenti di sempre: estremisti infiltrati nella magistratura vogliono accopparlo per missione politica; sono fascisti che annunciano il ritorno del fascismo. Sa che deve scatenare il pandemonio per intascare il dovuto. Non esita a imbrogliare il presidente della Repubblica. Non si preoccupa di creare attriti con il suo maggior alleato, la Lega. Consapevolmente, distrugge ogni possibilità di dialogo con le opposizioni. Per tenere sotto pressione istituzioni e Paese decide cinicamente di mettere in piazza anche la sua vita privata. Sa che alcune sue conversazioni viziose sono state intercettate dalla magistratura. Non gli sfugge che alcune sono state già distrutte e altre lo saranno presto. Anche se nessuno potrà ascoltarle, imbraccia quelle memorie foniche come se fossero un' arma contro i suoi "nemici": vedete, mi hanno spiato e mi ricattano, vogliono costringermi alle dimissioni; bisogna fermare i processi, fermare i giudici, fermare le intercettazioni; devo essere protetto da ogni iniziativa della magistratura. Geme e strepita come un bambino viziato. Minaccia di rompere il giocattolo che gli è stato messo in mano. Il Paese in declino profondo, impoverito, impaurito, incapace di pensare al futuro, deve fare i conti con le fobie e le pretese del mago. A cui tutto si sacrifica. La leale collaborazione del governo con il Quirinale. La coesione della maggioranza. Il confronto parlamentare con l' opposizione. L' equilibrio dei poteri. Il rispetto della Costituzione. Le urgenze del Paese. È questa la scena che abbiamo sotto gli occhi. Più o meno, una guerra del capo del governo contro tutti e tutto, a protezione del suo privatissimo interesse. Il canovaccio prevede ora che, scatenato il diluvio, si avanzi Noè con la sua arca. Noè ha il profilo di Gianni Letta, l' astuto mediatore dei conflitti creati dal suo Capo. È il gioco delle parti, è chiaro. Sono le condizioni che creano, durante un interrogatorio maligno, il poliziotto "cattivo" e il poliziotto "buono". Letta è il "buono" e, dopo il lavoro al proscenio del "cattivo" (Berlusconi), tocca a lui. Chiama a sé gli attori e propone «la via d' uscita»: cancellazione del "sospendi-processi" e immediata approvazione del "lodo Alfano". Dunque, l' impunità quinquennale per il bambino prepotente è stata, fin dal primo momento, l' unico, ineliminabile, irriducibile esito della pantomima. Agli interlocutori, appare una mediazione addirittura accettabile considerata l' avventura che promette il frastuono del capo del governo. Si evita un conflitto tra Palazzo Chigi e Quirinale. Si scongiura il rischio di un rallentamento nell' azione di un governo a favore dell' economia del Paese. Si ripristinano le condizioni per un confronto riformatore con le opposizioni. Si sfugge alla distruzione della macchina giudiziaria. Gli attori, con le spalle al muro, acconsentono. Acconsente il Quirinale, la Lega frastornata; ci pensa il Partito democratico, disorientato e diviso. Acconsente finanche l' associazione magistrati che si consola: si salva Berlusconi, ma anche la possibilità di amministrare la giustizia. Dovremmo acconsentire tutti? Non ce lo ordinano i vangeli. In nessun Paese occidentale il capo del governo è temporaneamente immune per i reati comuni. Perché dovrebbe esserlo il nostro? Il "lodo Alfano" viola l' eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Perché dovremmo dimenticarlo? È incostituzionale una legge ordinaria che garantisce quell' immunità: che almeno abbia l' iter delle riforme costituzionali. Si possono chiudere gli occhi dinanzi alle obiezioni degli addetti allo studio della Costituzione? Sono già tre buone ragioni per non darla vinta a questa prepotenza. - GIUSEPPE D' AVANZO

FERMATA BOVISA

Così lontano, così vicino. Una trasmissione radiofonica per raccontare il quartiere dove la Scighera è nata e cresce: un percorso sonoro tra testimoni, luoghi, musiche e protagonisti per raccontare il quartiere
Bovisa di Milano per come è oggi e per come è cambiato negli anni. Uno storico inglese trasferitosi a vivere in Bovisa, un musicista di un gruppo reggae e uno scrittore cresciuti nel quartiere, quelli che in
Bovisa ci passano, quelli che ci sono nati…impressioni e analisi immersi nel paesaggio sonoro del quartiere.

http://www.lascighera.org/audio/by/title/fermata_bovisa

De la démocratie en Amerique", Alexis De Tocqueville, 1840

Ecco come TOCQUEVILLE, nel 1840, aveva gia capito tutto...

«Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli
uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro.In
effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai
pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più
rapidamente della civilità e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in
cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei
beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna,non riescono
a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla
prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare
loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se
un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile
momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che
si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà
a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che
chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo
al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi
l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole
occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono
impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo
delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una
folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità
disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro
piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti
nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo».
RIFLETTIAMO!!

Il rancore a raccolta di Gabriele Polo

Oggi e domani si conclude una pessima tornata elettorale. Pessima e rivelatrice. Il baricentro del quadro politico si è radicalmente spostato a destra ed è lo specchio - per quanto «solo» istituzionale - di una società impaurita che, in grande maggioranza, propone «a chi di potere» lo scambio tra consenso e rassicurazione. Questo son state le elezioni del 13-14 aprile, una raccolta differenziata del rancore in cui tutte le paure della vita quotidiana si sono tradotte nell'incubo comune di una decadenza d'arginare, facendola pagare ai più deboli: ai pezzenti delle periferie, ai «mostri » in cui incarniamo le fobie dei nostri cervelli, alle culture ugualitarie incompatibili con l'ideologia dell'individuo che si fa strada facendo strame dei suoi simili (o che si rinchiude in comunità territoriali in guerra con tutto ciò che appare straniero). La sinistra, per un deficit «castale», non ha saputo rispondere a questi umori profondi, presumendo di sopravvivere come società politica separata e intangibile. E' stata cancellata dal quadro ufficiale e non è scontato che ne rientri a breve. Continua a vivere sparsa qua e là e da lì deve ripartire per ripensarsi. Oggi e domani si può reagire in tanti modi al terremoto avvenuto. Chiudersi in casa (per chi ne ha una confortevole), darsi alla letteratura (per i letterati), gettarsi in lotte intestine (per gli appassionati del capro espiatorio), arroccarsi nelle proprie casematte comunitarie (per chi gode ancora di un «luogo» praticabile), affidarsi a un comico in piazza (per gli amanti del genere). Una soluzione politica comune a portata di mano non è data, a sinistra. La si può solo costruire: contro gli sbocchi che la destra darà ai rancori sociali non basterà la testimonianza; di fronte all'alienazione di una società impaurita non servirà a nulla la propaganda. Battersi e capire sono due verbi difficili da conciliare,ma difficile è la realtà. Oggi e domani le elezioni per il Campidoglio potrebbero completare nefastamente questo panorama. Un sindaco fascista (questo sarebbe) non è un esito come un altro.Non tanto per le conseguenze sul quadro politico nazionale - a partire dal terremoto nel loft del Partito democratico -, quanto per il segnale storico che darebbe e per le conseguenze sulla vita quotidiana nella capitale: l'onda lunga di destra assumerebbe, ancor più di quanto oggi già sia, le caratteristiche di uno tsunami, le pulsioni cupe e violente che serpeggiano libere nelle relazioni tra gli individui troverebbero un riconoscimento istituzionale. Ogni ricostruzione a sinistra diventerebbe ancor più difficile, la stessa agibilità democratica verrebbe messa a rischio. Chi non lo comprende, vada pure almare, ma il consiglio (per il suo bene) è quello di non tornare.

Dopo 30 anni via il segreto di Stato

POLITICA
Decisione del governo: da maggio i misteri d'Italia escono dalle casseforti degli 007
Subito accessibili anche i faldoni che riguardano le stragi di piazza Fontana e Italicus
Dopo 30 anni via il segreto di Stato
Niente più omissis sul caso Moro
di LIANA MILELLA

Pubblicato il 13 aprile su Repubblica >>> ROMA - Il governo Prodi lo annuncia con un taglio decisamente low profile. Ma dopo anni di battaglie durissime e di scontri tra i magistrati, gli 007 e la politica, finalmente è caduto il muro del segreto di Stato. Non sarà più eterno, com'è stato finora. Durerà al massimo 15 anni rinnovabili con altri 15 con un decreto del presidente del Consiglio. Trenta in tutto, non uno di più.

In un'intervista radiofonica, al Gr1 di Radio Rai, il prodiano Enrico Micheli, sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi segreti, rivela che il regolamento sul segreto di Stato, previsto dalla legge di riforma dell'intelligence, ha avuto il via libera. E poiché tutti, andando indietro di trent'anni, pensano subito al sequestro Moro, lui puntualizza: "Il decreto non riguarda esplicitamente quel caso, ma tutti i segreti di Stato che abbiano superato i trent'anni".

Aggiunge che, di persona, ha pregato "tutti", i servizi Dis (ex Cesis), Aise (ex Sismi) e Aisi (ex Sisde) e le forze di polizia, "di organizzare le consultazioni per quanti lo richiedano". Anche se Micheli non lo dice ufficialmente, si sa che la sua raccomandazione più calda ha riguardato in special modo tutte le carte del caso Moro che, giusto nel trentennale dell'assassinio dello statista, saranno sicuramente le più richieste.

Fatti due conti, e visto che il decreto dovrebbe essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale entro il 20 aprile, immediatamente le carte contenute nelle casseforti degli 007 e che riguardano i fatidici 55 giorni del sequestro potranno essere liberamente consultate da chi, i familiari delle vittime, storici, giornalisti, uomini politici, avrà interesse a farlo.

Un fatto è certo. Fatti gravissimi accaduti nello scorso secolo, dalla strage di piazza Fontana a quelle di Brescia e dell'Italicus, con il ruolo oscuro e depistatorio svolto dai servizi, potranno essere riletti. E stavolta non potrà accadere quello che racconta l'ex capo della procura di Milano Gerardo D'Ambrosio, uno dei magistrati che indagò proprio su piazza Fontana: "Andreotti rilasciò un'intervista in cui annunciava che avrebbe aperto i cassetti dei servizi. Noi ci precipitammo a Roma e lui ci disse di andare dal capo del Sid Vito Miceli che ci ricevette subito con un "che vi serve?". "Entrare negli archivi" rispondemmo noi. E lui "Eh no, impossibile. Ditemi che vi serve, noi lo cerchiamo e ve lo diamo".

D'Ambrosio è soddisfatto della legge, ma scettico sui risultati: "Era ora che anche in Italia si approvasse una norma come questa, ma bisogna vedere che cosa ci fanno trovare. Gli 007 sono talmente burocratici che incartano tutto, ma le carte scottanti forse non ci sono più".

È la stessa previsione dell'ex pm Felice Casson, protagonista di duri contrasti con i servizi: "La riforma è epocale, soprattutto perché avrà un effetto positivo per il futuro. Se già adesso si sa che le carte dovranno essere pubbliche, non si verificheranno più depistaggi. Quanto al passato invece credo che negli archivi degli 007 ormai ci sia ben poco. Su stragi come piazza Fontana, Brescia e Bologna dai cassetti dei servizi non verranno scoperte che potranno mutare gli accertamenti fatti nel corso dei processi".

Le voci critiche e i dubbi sulla riforma non mancano. L'ex pm Antonio Di Pietro avrebbe voluto un termini più stretto: "Per me 30 anni sono decisamente troppi, è solo un modo per non svelare nulla. Il segreto è comprensibile nell'immediatezza dei fatti per tutelare l'interesse pubblico, ma subito dopo ci vuole il controllo democratico. I depistaggi e l'uso strumentale dei servizi avrebbe consigliato un sistema diverso, per esempio affidare al Copaco la possibilità di far cessare il segreto anche dopo tre mesi".

L'ex presidente della commissione Stragi Giovanni Pellegrino, che ancora aspetta di veder resi pubblici i documenti sul caso Moro che pure nel 2001 aveva desecretato, è preoccupato dall'applicazione concreta del regolamento: "Temo che qualcuno, in modo restrittivo, possa dire che un documento trovato oggi, ma rispetto alla stesura del quale sono già passati 30 anni, possa essere invece oggetto di un nuovo sigillo di segretezza". Un dubbio che appare smentito dalla stessa formulazione del decreto che "libera" i documenti 30 anni dopo il vincolo di segretezza apposto dagli 007 oppure opposto dai magistrati dal presidente del Consiglio.

(13 aprile 2008)

Una storia italiana - banda bassotti

IN UN ALTRO PAESE:un DOCUMENTARIO su FALCONE e BORSELLINO di MARCO TURCO

Quarant'anni (di misteri italiani) MCR

ANDATE A VOTARE. COMUNQUE

La legge elettorale è incivile. Ma ci sono almeno tre motivi per votare comunque.
Le liste bloccate danno molte informazioni sulle vere priorità dei partiti e su come interpretano il rinnovamento della classe politica: dalle quote rosa eluse al ringiovanimento spesso solo di facciata, mentre nella nuova Camera ci saranno almeno dodici deputati già condannati.
Non è vero che i programmi dei due maggiori schieramenti sono uguali. L'unica cosa che hanno in comune è il fatto di essere libri dei sogni. E sulla legge elettorale, non tutti i partiti vogliono davvero cambiarla.
>>>>articolo pubblicato su www.lavoce.info
(clicca e leggi il seguito: contiente anche le tabelle dei governi a confronto!)

Aborto. La polizia irrompe al Policlinico di Napoli

L'Udi denuncia: "clima di intimidazione"
di Anna Maria Bruni

"Nel reparto di interruzioni volontarie di gravidanza, nella serata dell'11
febbraio, alcuni agenti del Commissariato Arenella hanno fatto irruzione,
senza alcun mandato, motivando di aver notizia di reato di 'feticidio'". "Si
trattava, invece, di un aborto terapeutico alla quarta settimana,
regolarmente effettuato nel rispetto della legge 194 e della salute della
donna che ha subìto l'intervento, e che ha espulso, peraltro, un feto
morto".
Questo l'inizio del comunicato con cui l'Udi, l'Unione delle donne italiane,
ha denunciato l'incredibile intimidazione avvenuta ai danni di una donna
ricoverata al Policlinico di Napoli, nella serata di lunedì.

I medici, continua il comunicato, "di fronte ad un inedito agire della forza
pubblica, hanno tutelato la donna, ma non hanno potuto evitare il sequestro
del materiale abortivo e della fotocopia della cartella (anonima) della
paziente". Inoltre, fanno sapere dall'Udi, "gli agenti hanno intimidito la
vicina di letto della donna esortandola a testimoniare in quel momento,
altrimenti sarebbe stata chiamata a farlo davanti ad un giudice".
L'associazione, pertanto, denuncia "il clima che sta montando contro le
donne, nel nostro paese e nel caso specifico in Campania, che genera
procedure ai limiti della legittimità, ma soprattutto contrarie ad ogni buon
senso. La libertà femminile - prosegue la nota - ha reso inevitabile
l'agonia del patriarcato che, ottenebrato, mostra la sua faccia feroce,
contrapponendosi alle donne con l'intimidazione".

Il direttore generale del Policlinico, Giovanni Canfora, ha avviato
un'indagine conoscitiva interna. Il primario del reparto e direttore del
Dipartimento di Ostetricia, prof. Carmine Nappi, ha consegnato alla
direzione una relazione sulle modalità di svolgimento dell'aborto. "Si è
trattato di un aborto praticato nel secondo trimestre, alla ventunesima
settimana di gravidanza, che è previsto dall'articolo 6 della legge 194/78,
eseguito con un' iniezione di prostaglandine", ha detto il professor Nappi.
"Il feto presentava un' alterazione cromosomica. Se la gravidanza fosse
stata portata a termine ci sarebbe stato il 40% di possibilità di un deficit
mentale. La donna ha presentato un certificato psichiatrico della stessa
struttura universitaria sul rischio di 'grave danno alla salute psichica',
che ha autorizzato l'intervento". La donna che ha dovuto interrompere la
gravidanza è stata poi dimessa lunedì mattina.

Il professor Nappi ha poi precisato di essere un obiettore di coscienza, e
che "nel nostro reparto siamo rigorosi nel rispetto della normativa".
Un caso esemplare di attuazione dello spirito che ha animato la 194:
libertà, regolamentata, per l'interruzione di gravidanza e libertà per i
medici obiettori di seguire la loro coscienza, fatti salvi i casi di grave
rischio per la salute della donna e del bambino. La libertà di allora ha
consentito uno spazio di condivisione nel rispetto delle diverse posizioni,
il fondamentalismo attuale prevede la libertà solo per una parte, quella del
potere, della Chiesa, e dei suoi servi, laici o cattolici che siano, che si
realizza solo nella repressione della libertà civile.


AMICHE DI ABCD
(Ateneo Bicocca Coordinamento Donne)
Milano
www.amichediabcd.org

1976, Coup d'Etat


POLITICA
IL GOLPE INGLESE / 1 - I documenti degli archivi britannici, appena
desecretati gettano una luce cruda sul backstage della Guerra Fredda
Dalle carte segrete del Foreign Office
l'idea di un colpo di Stato in Italia
Repubblica ha trovato e può rendere noti testi elaborati nel 1976
in cui s'ipotizzava il "Coup d'Etat", poi scartato perché "irrealistico"

di FILIPPO CECCARELLI

A mali estremi, estremi rimedi. Anche questo fu la guerra fredda in Italia, là dove il male estremo, più che una generica idea di comunismo, era la concretissima possibilità che il Partito comunista italiano andasse al potere.

Era il 1976, l'anno delle elezioni più drammatiche dopo quelle del 1948. Ebbene: dinanzi al male assoluto che un governo con il Pci avrebbe arrecato al sistema di sicurezza dell'Alleanza atlantica, nel novero degli estremi e possibili rimedi il fronte occidentale, le potenze alleate e in qualche misura la Nato presero in considerazione anche l'ipotesi di un colpo di Stato. Un "coup d'Etat", letteralmente: alla francese. Eventualità scartata in quanto "irrealistica" e temeraria.

Nei documenti britannici di cui Repubblica è venuta in possesso grazie alla norma che libera dal segreto le carte di Stato dopo trent'anni, ce n'è uno del 6 maggio 1976, ovviamente super-segreto, elaborato dal Planning Staff del Foreign Office, il ministero degli esteri inglese, e intitolato "Italy and the communists: options for the West". All'inizio di pagina 14, tra le varie opzioni, si legge in maiuscolo: "Action in support of a coup d'Etat or other subversive action". Il tono del testo è distaccato e didattico: "Per sua natura un colpo di Stato può condurre a sviluppi imprevedibili. Tuttavia, in linea teorica, lo si potrebbe promuovere. In un modo o nell'altro potrebbe presumibilmente arrivare dalle forze della destra, con l'appoggio dell'esercito e della polizia. Per una serie di motivi - continua il documento - l'idea di un colpo di Stato asettico e chirurgico, in grado di rimuovere il Pci o di prevenirne l'ascesa al potere, potrebbe risultare attraente. Ma è una idea irrealistica". Seguono altre impegnative valutazioni che ne sconsiglierebbero l'attuazione: la forza del Pci nel movimento sindacale, la possibilità di una "lunga e sanguinosa" guerra civile, l'Urss che potrebbe intervenire, i contraccolpi nell'opinione pubblica dei vari paesi occidentali. E dunque: "Un regime autoritario in Italia - concludono gli analisti del Western European Department del Foreign and Commonwealth Office (Fco) - risulterebbe difficilmente più accettabile di un governo a partecipazione comunista".

In politica estera i documenti diplomatici, specie se a uso interno, hanno una loro fredda determinazione. Gli interessi sono nudi, non di rado venati di cinismo. Questi che raccontano la crisi italiana prima e dopo le elezioni del 20 giugno 1976 provengono dai faldoni desecretati dell'archivio del premier britannico e del ministero degli esteri. Sono centinaia e centinaia di fogli: corrispondenza fra i grandi del mondo occidentale, resoconti di riunioni e incontri, analisi di rischio, lettere di accompagnamento, policy papers, telegrammi, schede, studi comparati (l'Italia come il Portogallo della rivoluzione dei garofani, ad esempio), relazioni dirette alle ambasciate di Sua Maestà a Roma, Parigi, Bonn, Washington e Bruxelles, quartier generale della Nato.

In questo abbondante materiale non c'è, ovviamente, solo la rivelazione del golpe. Eppure, mai come in queste testimonianze scritte il "Fattore K", come "Kommunism", cioè l'impossibilità per il Pci di essere accettato al governo nel quadro degli equilibri decisi a Yalta, trova la sua più realistica rappresentazione. E al massimo livello. Ad esempio. Grazie all'ambasciatore americano a Londra, Elliot L. Richardson, si viene a conoscere il testo di una lettera privata che il Segretario di Stato Henry Kissinger scrive in gennaio all'allora presidente dell'Internazionale socialista Willy Brandt a proposito della crescita comunista in Italia, Spagna e Portogallo: "Ho il dovere di esprimere la mia forte preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare. La natura politica della Nato sarebbe destinata a cambiare se uno o più tra i paesi dell'Alleanza dovessero formare dei governi con una partecipazione comunista, diretta o indiretta che sia. L'emergere dell'Urss come grande potenza nello scenario mondiale continua a essere motivo di inquietudine. Il ruolo della Nato, così come la nostra immutata posizione militare in Europa, è indispensabile e cruciale. La mia ansia consiste nel fatto che questi punti di forza saranno messi in pericolo nel momento in cui i partiti comunisti raggiungeranno posizioni influenti nell'Europa occidentale".

Dei vari protagonisti Kissinger è senz'altro il più caparbio e intransigente. Mentre i vertici della Nato sono fin dall'inizio i più irrequieti. Scrivono il 25 marzo dal ministero della Difesa britannica ai colleghi degli Esteri: "La presenza del Pci nel governo italiano e conseguentemente l'accresciuta minaccia di sovversione comunista potrebbero collocare l'Alleanza e l'Occidente dinanzi alla necessità di prendere una decisione grave". È chiaro che la partita va ben oltre le faccende italiane: "L'arrivo al potere dei comunisti - si legge in un documento interno del Fco - costituirebbe un forte colpo psicologico per l'Occidente. L'impegno Usa verso l'Europa finirebbe per indebolirsi, potrebbero così sorgere tensioni gravi fra gli americani e i membri europei della Nato su come trattare gli italiani". Ma al tempo stesso c'è il rischio che un governo con Berlinguer sconvolga gli equilibri consolidati da trent'anni di guerra fredda creando problemi anche all'Urss, e qui i diplomatici inglesi sottolineano il pericolo che "le idee riformiste si diffondano in Russia e nell'Europa dell'Est". Il Pci di Berlinguer, e più in generale quello che allora andava sotto il nome di "eurocomunismo", costituisce a loro giudizio una vera e propria "eresia revisionista" e il suo sbocco governativo porterebbe il dibattito teorico della chiesa marxista sul terreno della politica reale. Il Pcus ha tutte le ragioni per temere il "contagio" di un "comunismo alternativo" al potere in occidente. E tuttavia, secondo altre analisi, su un piano più immediatamente geopolitico e militare per l'Urss "i vantaggi supererebbero di gran lunga gli svantaggi, specie in relazione all'indebolimento della Nato".


E insomma, sarebbe un evento "catastrofico". La parola risuona più e più volte nei papers in attesa delle elezioni italiane. Da Bruxelles, soprattutto, fanno presente che il tempo stringe e per questo occorre prepararsi al peggio. "La presenza di ministri comunisti nel governo italiano porterebbe a un immediato problema di sicurezza nell'Alleanza - scrive a Londra l'ambasciatore inglese alla Nato, John Killick - Qualunque informazione in mano ai comunisti dovrà essere automaticamente considerata a rischio. I comunisti al potere altro non sono che l'estensione di una minaccia contro la quale la Nato si batte. Dunque, è preferibile una netta amputazione (dell'Italia, ndr) piuttosto che una paralisi interna".

La questione vitale riguarda la sicurezza nucleare, quindi la dislocazione e la custodia delle bombe atomiche: anche senza ministri comunisti alla Difesa e agli Esteri, un'Italia governata dal Pci va comunque esclusa dal Nuclear Planning Group: "Per dirla con parole crude - chiarisce il Ministero della Difesa - il rischio è che i documenti sensibili finiscano a Mosca". Altri problemi hanno a che fare con le basi militari e navali della Nato nella penisola: "Considerata l'alta percentuale degli italiani che votano Pci, è quasi certo che alcuni simpatizzanti di questo partito hanno già penetrato il quartier generale della Nato a Napoli (Afsouth). Sul lungo termine il Pci potrebbe accentuare lo spionaggio oppure spingere per rimpiazzare gradualmente i funzionari nei posti chiave dell'Alleanza con elementi comunisti". A parte gli scioperi, i blocchi e le manifestazioni che potrebbero essere organizzate attorno alle installazioni militari. In caso di guerra, possono nascere problemi seri: "La perdita del quartier generale di Napoli, ad esempio, avrebbe un effetto negativo sulle operazioni della Sesta Flotta nel Mediterraneo Orientale".

Il sistema di edifici in vetro, acciaio e cemento che ospita i National Archives a Kew Gardens, venti minuti di metropolitana a sud di Londra, sembra una via di mezzo tra una serra e una pagoda. Qui dentro sono conservati circa trenta milioni di record, dall'alto medioevo ai giorni nostri. Intorno, cottage, boschi, giardini e un piccolo lago artificiale popolato da oche e anatre. Nell'immensa reading room climatizzata, insonorizzata e strettamente sorvegliata da telecamere e dal personale in elegante giacca blu, il ricercatore Mario J. Cereghino ha passato varie settimane. Su uno dei grandi tavoli esagonali in legno scuro si sono via via ammonticchiati fascicoli su fascicoli, tutti originali, ingialliti dal tempo. Trent'anni e oltre: è attraverso queste carte che si può osservare, come mai finora, il backstage della guerra fredda.

L'Italia del 1976, come si sarà capito, è un paese in crisi. La formula del centrosinistra è morta; i comunisti hanno ottenuto un grande successo alle amministrative dell'anno prima conquistando il governo di diverse regioni e importanti città; il Psi, di cui è segretario l'anziano De Martino, ha aperto la crisi al buio; mentre ancora tramortita dalla sconfitta nel referendum sul divorzio e sotto accusa per una serie di scandali, la Dc sembra per la prima volta allo sbando, più che divisa, divorata dalle faide. A reggere le sorti del governo nei primi mesi dell'anno c'è un pallido bicolore Moro-La Malfa, cui segue, per gestire le elezioni anticipate, un ancora più esangue monocolore sempre diretto da Moro. La maggioranza è in pezzi, Berlinguer appare il personaggio del momento e da anni ormai ha posto sul tavolo l'offerta del Compromesso storico.

L'ambasciatore britannico a Roma, Sir Guy Millard, è un uomo molto sottile e per giunta dotato di una buona penna. "Berlinguer - scrive a Londra, al Segretario di Stato - è una figura attraente, ispira fiducia con la sua oratoria. Ciò che dice è credibile e lui lo afferma in modo convincente". Ma proprio per questo non c'è da fidarsi. "Il suo ingresso nel governo porrebbe la Nato e la Comunità europea dinanzi a un problema serio e potrebbe rivelarsi un evento dalle conseguenze catastrofiche". Quali Millard lo spiega in modo incalzante: la "disintegrazione" della Dc, innanzi tutto, poi il calo degli investimenti, la fuga dei capitali, la caduta di fiducia nelle imprese, l'intervento drastico del governo nello Stato e di conseguenza "la rapida fine del sistema di libero mercato". Cosa fare per tenere il Pci alla larga dal governo? "Non molto, temo". E aggiunge: "È un peccato che la difesa dell'Italia dal comunismo sia nelle mani di un partito così carente come la Dc".

Dello scudo crociato, dopo il congresso che a marzo ha visto la vittoria di Benigno Zaccagnini su Arnaldo Forlani, Millard va a parlare con l'ambasciatore americano a Roma John Volpe. Secondo quest'ultimo, Forlani "è una brava persona, ma non è un combattente", Zac invece "piace molto ai giovani", gli Usa lo appoggiano anche se preferirebbero Forlani e Fanfani che sono più anticomunisti. Parlano anche di Moro: "Qualche volta - sostiene Millard - sembra piuttosto ambiguo sul Compromesso storico". Volpe concorda: "È un pessimista, troppo incline a ritenerlo inevitabile". È questa specie di rassegnazione la colpa che gli americani attribuiscono all'astuta, ma imbelle classe di governo democristiana. In un rapporto del 23 marzo si legge che al Dipartimento di Stato Usa sono molto preoccupati: "La situazione italiana va deteriorandosi e non si sa come agire". Di qui al sospetto che la Dc faccia il doppio gioco il passo è breve: "Piuttosto che perdere il potere, preferirebbe spartirlo con il Pci".

Ai primi di aprile il rappresentante britannico presso la Santa Sede, Dugald Malcolm, va a trovare il Patriarca di Venezia, monsignor Albino Luciani, il futuro Giovanni Paolo I: "Il Patriarca sembra aver assunto una posizione incline alla catastrofe. L'argomento trattato era sempre uno: l'avanzata del Pci". È il periodo in cui i comunisti italiani corteggiano i cattolici (alcuni di questi finiranno eletti nelle loro liste di lì a qualche mese). Su questo Luciani è intransigente: "Non si può essere al contempo cristiani e marxisti". Al diplomatico inglese racconta di aver dei problemi con alcuni sacerdoti della sua diocesi "che si sentono in obbligo di convertirsi al comunismo". In un'isola della laguna un gruppo di scout ha addirittura sostituito il crocifisso con la foto di Mao. Nel congedarsi, il prossimo pontefice sussurra: "Siamo nella mani di Dio". E aggiunge: "Che comunque sono buone mani".

IL GOLPE INGLESE / 2 - I documenti degli archivi britannici, appena
desecretati gettano una luce cruda sul backstage della Guerra Fredda
E Kissinger diceva di Berlinguer
"E' lui il comunista più pericoloso"
A tutti sembrava ormai imminente l'ingresso del Pci nel governo
Terrorizzati all'idea che un uomo del Pci potesse conoscere i segreti della Nato

Per i laici l'ambasciatore Millard consulta Giovanni Spadolini. Lo trova piuttosto agitato: "È un sintomo grave che il presidente Moro abbia convocato Berlinguer a Palazzo Chigi prima del Consiglio dei ministri. Così ora i comunisti fanno virtualmente parte della maggioranza, ma non sono più in grado di dare ordini alla classe operaia. Per farlo - scherza, ma non troppo Spadolini - avrebbero bisogno dell'Armata rossa". E comunque: "Il Pci è ormai parte integrante del sistema politico, che sta andando a pezzi. L'unica speranza è che sia contaminato dal potere come gli altri partiti". Parla da intellettuale, ma anche come ex ministro (dei Beni culturali, nel dicastero Moro-La Malfa): "La polizia è insoddisfatta e il quaranta per cento degli agenti sarebbe pronto a partecipare a un colpo di stato di sinistra. I carabinieri invece sono molto più affidabili". Commento di Millard: "Si percepisce un clima di profonda depressione, quasi di disperazione, per non dire di panico".

Il tempo stringe, è la formula che risuona nei documenti britannici. A Londra Henry Kissinger incontra il nuovo ministro degli Esteri di Sua Maestà, Antony Crosland. Da parte americana si avverte un indubbio nervosismo: "La questione dell'obbedienza del Pci a Mosca è secondaria. Per la coesione dell'occidente - è ora la tesi di Kissinger - i comunisti come Berlinguer sono più pericolosi del portoghese Cunhal". Ribatte Crosland: "Il Pci non avrebbe il prestigio di cui gode se gli altri partiti italiani non fossero messi così male. Ma vi sono segni di decadenza anche tra i comunisti, corruzione, come nel caso di Parma". E francamente colpisce che leader così potenti si abbassino a parlare di un piccolo scandalo edilizio che nell'autunno del 1975 coinvolse l'amministrazione rossa della città emiliana. La risposta di Kissinger, comunque, sembra stizzita: "Sembrano tutti ipnotizzati dai successi del Pci, senza avere idea di cosa fare per bloccarne l'ascesa".

Il 13 aprile un gruppo di specialisti del Western European Department del Foreign Office elabora un dossier che ha proprio il compito di stabilire la strategia operativa anticomunista, graduandone le mosse a seconda dei vari scenari. La prima parte è dedicata appunto a come impedire che il Pci vada al governo e sono indicati i vari passi da compiere: finanziamento degli altri partiti, orchestrazione di campagne stampa sul pericolo, attacco alla credibilità delle Botteghe Oscure, moniti ai sovietici.

Nella seconda parte il documento offre delle soluzioni per così dire pratiche nel caso il Pci sia già riuscito a conquistare una quota di potere, cioè sia già andato al governo. A questo punto gli scenari sono cinque, e cinque di conseguenza le options, ciascuna esaminata a seconda dei vantaggi e degli svantaggi. La linea più morbida è definita "Business as usual" e prevede di "continuare le relazioni come se nulla fosse cambiato". Seguono, in ordine di gravità, "misure di ordine pratico-amministrativo" per "salvaguardare i segreti e i processi decisionali dell'Alleanza atlantica". Come ulteriore scelta, sempre rispetto all'Italia, gli inglesi si riservano di mettere in atto una "persuasione di tipo economico" che si traduce in una serie di pressioni anche sul piano della Comunità europea e del Fondo monetario internazionale. Entrerebbero in gioco, in quel caso, posti di potere in tali organismi, benefici, prestiti. "Occorre comunque precisare - si legge - che tali misure cesserebbero se il Pci abbandonasse il governo".

La option number four ha un titolo che, anche in lingua inglese, non è che suoni proprio tranquillizzante: "Subversive or military intervention against the Pci". Ecco come comincia: "Questa opzione copre una serie di possibilità: dalle operazioni di basso profilo al supporto attivo delle forze democratiche (finanziario o di altro tipo) con l'obiettivo di dirigere un intervento a sostegno di un colpo di Stato incoraggiato dall'esterno". Vantaggi: "Tali misure possono aiutare a rimuovere il Pci dal governo". Svantaggi: "Vi sono immense difficoltà pratiche per portare a compimento questo tipo di operazione. Vista la situazione italiana, è estremamente improbabile che un'operazione coperta rimanga segreta a lungo. La sua rivelazione può danneggiare gli interessi dell'occidente e aiutare il Pci a giustificare in maniera più decisa il suo controllo sulla macchina del governo. Inoltre, la pubblica opinione dei paesi occidentali potrebbe prenderla male col risultato di creare tensioni all'interno della Nato, soprattutto fra Usa e alleati europei, nel caso gli americani assumano il comando dell'iniziativa". E conclude: "Anche se l'intervento esterno servisse a rimuovere il Pci dal potere, la situazione politica italiana rimarrebbe instabile, rafforzando così l'influenza comunista e quella dell'Urss sul lungo periodo".

L'ultima opzione prevede, seccamente, "l'espulsione dell'Italia dalla Nato". Vantaggi: "Si tutelano i segreti e si elimina la possibilità che l'Italia comprometta l'alleanza dall'interno". Ma in questo caso, secondo gli analisti del Fco, si arriverebbe alla "chiusura di tutte le basi nel paese, destinato a diventare neutrale con un orientamento verso l'occidente. Ma l'Italia potrebbe anche evolversi in una sorta di Yugoslavia. Al limite, potrebbe anche offrire agevolazioni di tipo militare all'Urss in cambio di denaro". In ogni caso, conclude il dossier, "si renderebbe necessaria una revisione della strategia difensiva della Nato sul fianco Sud. La Sesta Flotta ne sarebbe danneggiata. Grecia e Turchia potrebbero chiedersi se valga la pena continuare a far parte dell'alleanza. Potrebbe anche essere compromessa la capacità americana di intervenire in Medio Oriente e di influenzare quei paesi a livello politico. Di conseguenza, il ritiro dell'Italia dalla Nato si trasformerebbe di fatto in una sconfitta dell'occidente di fronte al mondo intero".


Dopo tanto tempo viene da chiedersi, e pure con un certo sgomento, se e in che misura nel 1976 gli italiani fossero consapevoli dei rischi che correvano. Si ha qualche scrupolo a montare un caso di golpismo postumo, per giunta irrealizzato. Eppure, c'è da dire che mai come allora l'idea stessa del golpe, la minaccia di golpe, le voci di golpe, la vigilanza e l'autodifesa in caso di golpe, erano entrate da tempo nell'immaginario politico.

C'era stata la Grecia (1967) e poi il Cile (1973); e qui il "Piano Solo" del generale col monocolo, Giovanni De Lorenzo (1964), il tentativo del "Principe nero" Junio Valerio Borghese (1970) e la Rosa dei Venti (1974). Circolavano anche film (Colpo di Stato di Salce e l'indimenticabile Vogliamo i colonnelli di Monicelli) e perfino barzellette: "Dicono a De Martino: "Sono arrivati i carriarmati", e quello: "Bene, e a noi socialisti quanti ce ne toccano?""). Umorismo in verità raffreddato dalle tante, troppe stragi di quegli anni: Piazza Fontana, Reggio Calabria, Peteano, Piazza della Loggia, Italicus.

Alla metà degli anni Settanta i capi comunisti sono prudenti e qualche volta dormono fuori casa: "Non ci prenderanno a letto", garantisce Pajetta. Ogni tanto qualche capo democristiano, ad esempio Moro, se ne esce con criptiche denunce tipo: "Sta prendendo corpo un torbido disegno eversivo". Ogni tanto finisce in prigione qualche generale dei servizi segreti, accusato di cospirazione politica e insurrezione armata: proprio nel febbraio del 1976 tocca al generale Gianadelio Maletti, mentre a maggio la magistratura di Torino chiede l'arresto di Edgardo Sogno, figura di spicco della Resistenza non comunista, poi divenuto così acceso anticomunista da farsi ispiratore di un golpe detto "bianco", para-legalitario. Scrive Pier Paolo Pasolini nell'articolo sulle lucciole, la cui scomparsa nelle campagne definiva poeticamente la grande mutazione antropologica degli italiani: "È probabile che il vuoto di potere stia già riempiendosi attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato".

Perché si potrà anche sorridere di questa strisciante mitomania golpistica, dietrologica e pistarola; così come del comandante della Guardia Forestale Berti, con il suo spadone, che nella notte dell'Immacolata Concezione, da Cittaducale, provincia di Rieti, si lancia alla conquista del Viminale. Ma assai meno viene da sorridere leggendo il rapporto top-secret inviato a Londra dall'addetto militare dell'ambasciata britannica a Roma, colonnello Madsen, un mese esatto prima delle elezioni del 20 giugno. Titolo: "La reazione delle forze armate italiane alla partecipazione comunista al governo e l'effetto che essa può avere sul contributo dell'Italia alla Nato". Sono undici pagine fitte e dettagliatissime, dai piani di ristrutturazione appoggiati dal Pci al movimento dei "proletari in divisa" organizzato da Lotta continua. E di nuovo le conclusioni dell'indagine vanno a parare sul colpo di Stato: "Gli ufficiali delle Forze armate sono per la maggior parte di destra o di estrema destra. Tuttavia i soldati di leva riflettono le inclinazioni politiche tipiche dell'Italia attuale. In teoria, se non in pratica, il Pci potrebbe contare sul sostegno di un terzo delle Forze armate. Una eccezione importante è costituita dai Carabinieri, ottantaseimila uomini tra i quali il Pci non ha appoggi. Ma i Carabinieri sono tradizionalmente leali al governo, qualunque sia il suo colore politico".

Rispetto all'ipotesi di un governo con i comunisti, sostiene il colonnello che "il sentimento degli ufficiali è generalmente di preoccupazione. È difficile individuare nelle Forze armate un nucleo abbastanza forte o influente da promuovere un golpe. L'unica possibile eccezione è quella dei Carabinieri. Nell'attuale situazione è improbabile che i militari lo appoggino. Tuttavia potrebbe in breve crearsi una situazione tale da favorire un putsch militare "per l'ordine pubblico", soprattutto se i risultati delle elezioni del 20 giugno generassero una situazione di incertezza politica". La premessa è che si tratta di uno "scenario ipotetico". Ma al tempo stesso il colonnello Madsen segnala al suo ministro della Difesa che "nei piani di ristrutturazione, le forze armate italiane hanno di recente rafforzato le formazioni territoriali e quelle dei parà con l'obiettivo di condurre operazioni di salvaguardia della sicurezza nazionale, nel caso venga meno l'ordine pubblico".

Beato il paese che non ha paura del proprio passato. E che in nome della democrazia e della trasparenza apre regolarmente i suoi archivi a studiosi, appassionati e gente comune. Detto questo, a rileggere queste carte, si resta colpiti da un dubbio: meritava, l'Italia, la società italiana, di essere sorvegliata in quel modo? Come una repubblica delle banane in mezzo al Mediterraneo? Torna alla memoria quel 1976: "E l'Italia giocava alle carte/ e parlava di calcio nei bar" come ne La presa del potere di Gaber. Si resta un po' interdetti fronte a certe canzoni di allora: "E la Cia ci spia - questo è un Finardi d'annata - e non vuole più andare via". L'Italia degli scioperi, della guerriglia urbana, dell'austerità, della disoccupazione, dell'inflazione, dei mini-assegni al posto degli spiccioli. Parco Lambro e Porci con le ali. Ma anche l'Italia del boom di Benetton, del femminismo, della nascita di Repubblica e delle radio libere, degli ultimi Caroselli e dell'arrivo in tv della banda di Renzo Arbore, con Roberto Benigni improbabile critico cinematografico la domenica pomeriggio. E Gimondi, Panatta, la Ferrari di Niki Lauda. E il terremoto del Friuli, i matrimoni che diminuivano, Gheddafi nella Fiat, le Br che cominciano ad uccidere, il giudice Coco, a Genova, l'8 giugno 1976. Mai che le carte inglesi facciano riferimento al terrorismo rosso e nero di quella stagione di piombo.

IL GOLPE INGLESE / 3- I documenti degli archivi britannici, appenadesecretati gettano una luce cruda sul backstage della Guerra Fredda
A Parigi l'incontro segreto"Meglio che gli italiani non sappiano"
A Parigi una riunione a 4 (Francia, Usa, Gb, Germania) per metterea punto il documento sul futuro dell'Italia e per fermare la "deriva" comunista

Insomma, non c'era solo Berlinguer. Ma in quella primavera fra Londra, Washington e Bruxelles sembra davvero che non pensino ad altro. Il 6 maggio il Fco produce un secondo documento che integra e sviluppa il manuale di metodologia anticomunista del 13 aprile. E tuttavia proseguendo nella lettura si capisce che sull'uso di questi record nei contatti internazionali con gli alleati sorgono dei problemi. Il segretario di Stato si preoccupa delle "implicazioni politiche" di una linea così rigida. Nell'ambito dell'amministrazione britannica, che è pur sempre costituita da laburisti, ci sono delle diverse valutazioni. Quelle che pone all'attenzione del Segretario di Stato il suo consigliere politico David Lipsey suonano ad esempio più moderate e molto meno interventiste: "Se diamo troppa corda ai comunisti potrebbero dichiararsi innocenti oppure impiccarsi da soli. Se invece ci imbarchiamo in un'operazione di linciaggio - è la conclusione - sarà la nostra credibilità democratica ad essere danneggiata, non la loro". Anche per questo il governo inglese è preoccupato che studi, indagini e relazioni restino al sicuro. "La loro esistenza non deve essere rivelata - è la raccomandazione - La Gran Bretagna non deve essere vista come un governo che interferisce negli affari interni dell'Italia". Ma il 18 maggio, in vista di un vertice Nato a Oslo, qualcosa trapela: un articolo del Financial Times dal titolo "I timori del Foreign Office sull'Italia". Il giornalista rivela che l'atteggiamento degli alleati è stato riassunto in un documento ad hoc. Dalla Farnesina, a questo punto, chiedono spiegazioni, ma a Londra fanno i vaghi, ridimensionano: il caso Italia non è nell'agenda ufficiale di Oslo, non c'è nessun paper, del Pci si parlerà al massimo "nei corridoi".
Più in generale, al di là delle necessità diplomatiche, pare anche di cogliere una sottile linea di distinzione fra l'atteggiamento britannico e quello americano. Oltre una certa prudenza che porta Crosland e il premier Callaghan a non fare mosse avventate prima del 20 giugno, il Foreign office si preoccupa soprattutto dell'unità degli alleati, il che significa da un lato incoraggiare i francesi e i tedeschi a una maggiore presenza sulla questione italiana e dall'altro di frenare gli americani, soprattutto Kissinger. Del Segretario di Stato Usa i colleghi britannici sembrano poco apprezzare certe intemperanze, sottolineano che in privato usa uno "strong language", un linguaggio forte; come pure si concedono una qualche distaccata superiorità quando gli pare che Kissinger si comporti più da professore di storia che da stratega: "Così rischia di perdere di vista le implicazioni immediate delle sue parole - nota l'ambasciatore inglese a Washington, Peter Ramsbotham - sviluppando una sorta di teoria del domino europeo sul lungo termine". Ma gli americani, imperterriti, non solo seguitano a spingere sulla loro linea, ma in un memorandum del 4 giugno si mostrano anche piuttosto seccati dal fatto che mentre gli europei sono indecisi sul da farsi, loro rischiano di figurare sempre e comunque come il "bad cop", il cattivo poliziotto della situazione, tipo in Cile nel 1973. A pochi giorni dalle elezioni tutto è ancora incerto: "I sondaggi italiani sono notoriamente inaffidabili". Intanto Berlinguer dichiara di accettare l'ombrello della Nato e Montanelli invita a turarsi il naso e votare Dc. E con questo si arriva finalmente al 20 giugno. I risultati non potrebbero essere più ambigui. La Dc al 38,7 per cento e il Pci al 34,3 risultano i "due vincitori", come li definisce Moro. Ma questi due vincitori, secondo un'analisi del Fco, sono anche "prigionieri l'uno dell'altro.
Una settimana dopo, al vertice di Puertorico, riservato alle sette potenze più industrializzate del mondo, l'Italia si presenta senza un governo. Ci sono Moro e Rumor, ma solo per salvare le forme. Gerald Ford, Callaghan, Schmidt e Giscard d'Estaing si incontrano alle 12,45 di domenica 27 giugno al Dorado Beach Hotel per un pranzo di lavoro e qui si verifica un pietoso incidente. Lo descrive brutalmente Campbell, futuro ambasciatore britannico a Roma: "Quando arrivano per il lunch, ai due sfortunati ministri italiani viene impedito di entrare". È il massimo dell'umiliazione. Appena chiuse le porte, si affronta il "problema Italia". Il verbale di quell'incontro viene redatto dal funzionario Fergusson. Pur riconoscendo che gli italiani devono decidere da soli, i quattro capi di Stato sono d'accordo che occorre fare tutto il possibile perché i comunisti restino fuori dal potere. Giscard propone di elaborare, in una prossima riunione da tenersi a Parigi, una bozza di programma di governo che gli italiani dovranno accettare in cambio di un sostanzioso aiuto finanziario. Quella riunione si tiene effettivamente a Parigi, all'Eliseo, l'8 luglio del 1976. Il padrone di casa è il Segretario generale aggiunto della Presidenza della Repubblica francese Yves Cannac. Per gli Usa c'è Helmut Sonnenfeldt, consigliere del Dipartimento di Stato e braccio destro di Kissinger; per i tedeschi arriva Gunther Van Well, alto funzionario del ministero degli Esteri di Bonn; e infine, per la Gran Bretagna, il sottosegretario del Foreign Office, Reginald Hibbert.

È a quest'ultimo che si deve il resoconto, a tratti anche abbastanza scanzonato, di un incontro in cui "ognuno ha i suoi buoni motivi per mantenere il Pci fuori dal governo". Giscard vorrebbe un "centrodestra riformista" in Italia perché teme la spinta che a casa sua favorirebbe Mitterrand. Il rappresentante di Schmidt, d'altra parte, punta sulla rinascita del centrosinistra perché un successo di Berlinguer potrebbe spaventare il suo elettorato e aprire le porte a una vittoria dei democristiani nelle imminenti elezioni tedesche. E poi ci sono gli americani che appoggiano decisamente una Dc rinnovata. Insomma, un po' di confusione. In più, fa notare Hibbert con evidente disappunto, mancano traduttori e dattilografi che lavorino in inglese e soprattutto c'è una gran fretta perché il rappresentante di Kissinger deve scappare all'aeroporto. Così, "Kannac ci invita a pranzo al ristorante Ledoyen, ma l'urgenza è tale che non facciamo neanche in tempo a leggere il menu". In un angolo, Sonnenfeldt si concede una battuta sul clima carbonaro di quel pranzo: "Siete sicuri che l'ambasciatore italiano non sia qui? Se ci beccano, è chiaro che è per parlare di Berlino".
Chissà che cosa sapevano Moro, Andreotti o Berlinguer di tutto questo. O che cosa immaginavano. Da quel che si capisce l'incontro di Parigi, che Hibbert definisce "sticky", cioè difficile, insidioso, appiccicoso, fa pensare in realtà a una specie di ultimo avviso all'Italia, che è anche una prova di commissariamento. Le delegazioni producono una bozza d'intenti che a distanza di trent'anni finisce per avere un certo peso storiografico.
S'intitola "Democracy in Italy" e in pratica espone ai futuri governanti italiani quello che devono fare. Così comincia: "Malgrado gli ulteriori progressi del Pci, le recenti elezioni consentono di mantenere in vita la democrazia in Italia. Ma è arrivato il momento di mettere fine a questa deriva". La parola usata è "slide", uno scivolamento che porta a una caduta, al collasso italiano. I quattro grandi dell'occidente non solo alzano il tradizionale muro di fronte all'ipotesi di un governo con il Pci, ma nella riunione segreta di Parigi intervengono anche sulla formula e sulla maggioranza che dovrà avere il nuovo dicastero: a "guida dc", con "partiti non comunisti e non fascisti". E quindi provano pure a delineare le caratteristiche della loro compagine ideale: "Un piccolo gruppo omogeneo di uomini di prestigio che lavorino in squadra". Nelle carte c'è addirittura il programma, che tocca amministrazione pubblica, giustizia, sicurezza, economia e politica estera. Si scende nei particolari: un piano a medio termine per il risanamento della finanza pubblica e riduzione dell'evasione fiscale; è indicata la necessità di tentare un accordo con imprenditori e sindacati. C'è anche la lotta alla corruzione e perfino un accenno al "nepotismo". Ma soprattutto si fa notare, sotto un paragrafo dal titolo "The Christian democratic party", un appello che di nuovo suona come un atto di sottomissione richiesto alla classe di governo del "partito che ha esercitato il potere per trent'anni e rimane il più forte dopo le elezioni". Per battere il Pci, la Dc dovrebbe (should) ripulire la sua immagine di partito tollerante della "prevaricazione e del sotterfugio", ha il dovere di "liberarsi delle pecore nere", la necessità di "mettere ordine a casa sua", di svecchiarsi e arruolare giovani, assicurare maggiore spazio alle donne, ai lavoratori e ai sindacati. Suo compito è anche quello di contestare al Pci l'egemonia culturale "riconquistando l'intellighenzia, le università e i media". Il giorno dopo, 9 luglio, ore 23,20, l'ambasciatore inglese a Washington telegrafa a Londra: "Kissinger approva il paper "Democracy in Italy"". Da Londra, forse, il premier Callaghan un po' si spaventa a leggere quelle carte: "Dobbiamo usare molta cautela considerando il grande danno che ne verrebbe se la loro esistenza divenisse pubblica. Sarebbe un'intrusione diretta negli affari di uno stato europeo nostro alleato". E aggiunge: "Ogni fuga di notizie finirebbe per essere un regalo ai comunisti italiani". E così potrebbe anche concludersi il grande film del 1976. Poi certo, molte altre cose accadono - e il Foreign Office le registra con la consueta diligenza. Il Pci che rimane sulla soglia del potere. I democristiani che continuano a traccheggiare inventando formule quasi intraducibili, per cui l'andreottianissima "non sfiducia" diventa "non no-confidence". C'è anche un nuovo segretario socialista, il quarantenne milanese Bettino Craxi. L'ambasciatore Millard, che ha l'occhio lungo, lo segnala subito come una luce in fondo al tunnel del caos italiano. Si stabilisce che una sua visita a Londra "sarebbe auspicabile". Arriva l'autunno e a Bruxelles, davanti a Kissinger, il Segretario di Stato britannico Crosland parla "warmly", con calore, del "Signor Craxi". A Roma il successore di Millard è Alan Hugh Campbell. A fine anno l'ambasciatore scrive la tradizionale Christmas letter al Foreign Office: "Pur immersi nella tristezza, frustrazione, incompetenza, corruzione, gli italiani continuano a essere un popolo duttile e molto operoso. Ma condivido l'idea che non siano maturi per la rivoluzione". E c'è quasi un salto poetico: "Forse, questo spiega la sofferenza che ho osservato sul volto di Berlinguer, l'altro giorno, quando me lo sono trovato seduto vicino durante una cerimonia".